Il trust “autodichiarato”, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, rientrando nello schema della donazione indiretta.
È quanto si ricava dalla sentenza 26 ottobre 2016 n. 21616 della Quinta Sezione Civile della Cassazione.
Gli ermellini hanno respinto un ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.
La controversia origina da un avviso di liquidazione per il recupero nei confronti del notaio rogante delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale relativamente a un atto di costituzione di un trust “autodichiarato” registrato in esenzione d’imposta sulle successioni e donazioni, poiché rientrante nella “franchigia, e nel quale sono stati conferiti immobili e quote sociali fino al 31 dicembre 2032 o fino alla morte del disponente e trustee, con successivo trasferimento ai beneficiati discendenti dello stesso.
Il suddetto avviso di liquidazione è stato annullato dalla CTP di Perugia, con sentenza poi confermata dalla CTR dell’Umbria. Dal che l’instaurazione del giudizio di legittimità ad opera della difesa erariale, che ha dedotto, senza successo, la violazione e falsa applicazione di legge.
In buona sostanza la ricorrente Agenzia ha riproposto il contenuto delle circolari n. 48/E del 6 agosto 2007 e n. 3/E del 22 gennaio 2008.
Ebbene, la Suprema Corte non ha condiviso la posizione espressa nei citati documenti di prassi.
Il trust “autodichiarato”, secondo i supremi giudici, costituisce una forma di donazione indiretta, nel senso che per suo mezzo il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti non direttamente, bensì a mezzo del trustee in esecuzione di un diverso programma negoziale. Infatti – si legge in sentenza – “la costituzione del trust – come è normale che avvenga per ‘i vincoli di destinazione’ – produce soltanto efficacia ‘segregante’ i beni eventualmente in esso conferiti e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore e sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985, recepita in I. 16 ottobre 1989 n. 364). L’appena veduta osservazione è fondamentale perché consente di comprendere l’inconsistenza della censura denunciata dall’Ufficio […]”.
Nel trust “autodichiarato”, osserva ancora la Corte, un reale trasferimento è all’evidenza impossibile “perché del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua ‘segregazione’ fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. Per l’applicazione dell’imposta sulle successione e sulle donazioni manca quindi il presupposto impositivo della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti (art. 1 d.lgs. n. 346 cit.)”.
In conclusione i giudici tributari di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso proposto dall’Ufficio, con enunciazione del seguente principio di diritto:
L’istituzione di un trust cosiddetto “autodichiarato”, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la “segregazione” quale effetto naturale del vincolo di destinazione; una “segregazione” da cui non deriva, quindi, alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale.
Fonte: Fiscal Focus