Cassazione Penale, sentenza depositata il 9 ottobre 2015
Se è ipotizzato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, il sequestro preventivo dei beni costituiti in Trust è legittimo, anche se nell’atto costitutivo è stata fatta menzione del debito verso l’erario e indicata la possibilità di esperire l’azione revocatoria. Proprio la necessità di esperire l’azione revocatoria, anziché semplicemente soddisfarsi sui beni del contribuente, rappresenta un chiaro aggravamento della posizione creditoria dell’Erario.
Per quanto riguarda la determinazione del profitto confiscabile, è ben possibile che esso coincida con l’intero ammontare del debito tributario, ma in generale il profitto va individuato non nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, ma nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi.
È quanto emerge dalla sentenza n. 40534/15 della Terza Sezione Penale della Cassazione.
All’attenzione della Suprema Corte è stata portata la decisione del Tribunale di confermare un provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, avente a oggetto beni mobili e immobili nella disponibilità di un Trust.
Secondo la difesa del soggetto indagato per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, l’ordinanza impugnata ha erroneamente ritenuto esistente il fumus del reato e, comunque, ha malamente calcolato l’entità del profitto eventualmente confiscabile per equivalente.
Solo la seconda doglianza ha trovato concordi i giudici di Piazza Cavour.
Gli ermellini, in particolare, hanno ritenuto poco convincente la tesi difensiva circa le ragioni che hanno indotto l’indagato a costituire il Trust. A riguardo, il Tribunale ha motivato adeguatamente evidenziando “che: a) con l’istituzione del Trust e la nomina a trustee di un soggetto vicinissimo all’indagato, quest’ultimo conserva la sostanziale disponibilità dei beni, solo apparentemente segregati dal suo patrimonio; b) lo scopo dichiarato della creazione del Trust, quello di garantire l’adempimento degli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli all’esito del procedimento di divorzio dell’indagato, risulta, allo stato, poco verosimile, anche perché il trustee è il legale dello stesso indagato, che ne ha sempre curato la posizione proprio nei confronti della ex moglie ed è dunque un soggetto inidoneo a curare gli interessi di quest’ultima al rispetto da parte dell’ex marito dell’obbligo di mantenimento dei figlio; c) l’art. 4 dell’atto istitutivo del Trust prevede la riserva per (omissis) di nominare uno o più ‘guardiani’, soggetti che fanno le veci del disponente rispetto all’esercizio dei poteri del trustee; poteri che trovano ulteriori incisive limitazioni in altri clausole”.
A nulla è valso alla difesa sostenere che le ragioni creditorie erano state tutelate con l’inserimento nell’atto costitutivo del Trust di una clausola che riconosceva la possibilità per l’Erario di agire in revocatoria in ragione del debito tributario, che pure si riteneva infondato: ad avviso della Suprema Corte, proprio la necessità di esperire l’azione revocatoria, anziché semplicemente soddisfarsi sui beni del contribuente, rappresenta un chiaro aggravamento della posizione del creditore.
I giudici del Palazzaccio ritengono invece fondata la lamentela difensiva concernente la determinazione del profitto sequestrabile. L’ordinanza impugnata è stata infatti annullata limitatamente a tale aspetto, sicché il giudice del rinvio dovrà considerare che in relazione all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000 “il profitto del reato va individuato non nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, ma nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo della fattispecie, attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere”. In alcuni casi, però, è ben possibile che il profitto coincida con l’intero ammontare del debito tributario.
Il Tribunale, si legge, “non ha fatto corretta applicazione del principio sopra ricordato, perché ha identificato il profitto confiscabile con il complessivo ammontare del debito tributario, di euro 103.573.555,79, e non ha, di conseguenza, fornito alcuna motivazione circa l’ammontare, nel caso di specie della riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del debitore su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi”.
Autore:Redazione Fiscal Focus