L’applicazione dell’inversione contabile a operazioni soggettivamente inesistenti comporta comunque la applicazione del regime sanzionatorio più favorevole introdotto dal Dlgs 158/2015 . Tale principio è contenuto nella sentenza della Cassazione 16679/16 , relatore Ettore Cirillo, depositata ieri, sul ricorso di un’impresa acquirente di rottami avvenuta con l’inversione contabile annotando l’operazione sia nel registro degli acquisti sia in quello fatture emesse, applicando l’Iva. L’operazione veniva qualificata dall’agenzia delle Entrate soggettivamente inesistente. Si lamentava l’applicazione delle sanzioni piene previste dalla precedente normativa.
Nulla questio sull’indetraibilità dell’imposta, che di per sé è una sanzione indiretta consistente: la Corte ricorda che nelle operazioni inesistenti l’imposta è dovuta anche in presenza di operazioni soggette al reverse charge e ciò incide sul destinatario della fattura, che non può esercitar il diritto alla detrazione Iva, mancando il presupposto (viene meno la corrispondenza soggettiva dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata). È quindi confermato che la frode colpisce il principio fondamentale di neutralità .
Sul regime sanzionatorio, la Cassazione considera il comma 9-bis dell’articolo 6 del Dlgs 471/1997 introdotto dal Dlgs 158/2015 e si interroga sulla corretta norma applicabile. Esamina la norma che prevede la sanzione in presenza di errata applicazione dell’inversione contabile in operazioni esenti, non imponibili e non soggette, qualora relative ad operazioni inesistenti per le quali la sanzione si applica nella misura dal 5 al 10% con un minimo di mille euro. Ma, afferma la Corte, questa non dovrebbe essere la corretta sanzione per un’operazione imponibile come quella in esame, soggettivamente inesistente.
Quindi la sentenza richiama la posizione della Corte di Giustizia Ue, che raccomanda che la sanzione deve sempre essere graduabile e non può eccedere il necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione Iva. Continua la Cassazione che nel caso di operazioni inesistenti non si possono invocare sanzioni meramente formali e cioè per quelle infrazioni che non pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sul tributo.
Ancora la sentenza conferma il principio della retroattività stabilito dall’articolo 3, comma 3, del Dlgs 472/1997, che prevede l’applicazione retroattiva delle più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute, da applicare in ogni stato e grado del giudizio, con l’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo. Per la Cassazione, l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto è compito del giudice di merito. In sostanza, nel caso in esame la Cassazione dispone che il giudice di merito dovrà esaminare la fattispecie concretamente accertata dal giudice di appello attraverso il nuovo regime sanzionatorio introdotto dal Dlgs 158/2015; inoltre dovrà individuare le ipotesi sanzionatorie confacenti con l’originaria contestazione del fisco. Inoltre, il giudice di merito potrà graduare i limiti comunitari per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione Iva, operando se del caso anche la disapplicazione del diritto interno.
In conclusione, la Cassazione fissa princìpi fondamentali per applicare le sanzioni secondo il nuovo regime, demandando tuttavia la quantificazione al giudice di appello, rinviando alla Commissione regionale in diversa composizione.
Fonte: Il Sole 24 Ore