L’ULTIMO DETRATTORE DEL TRUST AUTODICHIARATO: IL DISPONENTE STESSO

Il trust autodichiarato, dove il disponente nomina se stesso quale trustee, è stato spesso (talora a torto) maltrattato dai vari operatori che lo hanno incontrato nel loro cammino.

La Cassazione ha avuto modo in alcune occasioni di statuirne la nullità. L’Agenzia delle Entrate, seppur in modo non espresso, lascia intendere nella circolare n. 61/E/2010 che si tratta di un trust interposto nei confronti del disponente. Una diversa visione è stata espressa dall’Amministrazione in un interpello del marzo 2016 che è stato reso noto nella stampa specializzata, senza tuttavia essere mai stato trasfuso in una risoluzione ufficiale. Il caso, ad ogni buon conto, aveva ad oggetto un trust per il “dopo di noi” volto a tutelare un figlio affetto da grave disabilità.

Secondo il Provvedimento della Banca d’Italia del 2 dicembre 2013 in tema di comportamenti anomali ai fini antiriciclaggio, il trust autodichiarato è considerato come una situazione anomala che potrebbe stimolare la segnalazione antiriciclaggio.

La sintesi del trust autodichiarato è stata brillantemente espressa nel seguente pensiero che un autorevole Notaio ha riportato nel proprio sito internet:

  • “Se anche il trust autodichiarato è stato riconosciuto legittimo in una pluralità di pronunce giudiziarie, è labile il confine con situazioni completamente simulate o addirittura fraudolente; per cui, se si vogliono realizzare con il trust effetti protettivi dei beni in esso destinati, di quello autodichiarato c’è francamente da diffidare”.

L’ultimo fronte di attacco che il povero trust autodichiarato poteva affrontare era quella del disponente stesso che lo ha istituito e che opera come trustee.

La recente Sentenza n. 20862 dell’11 maggio 2018 (ud 7 novembre 2017) della Cassazione ha, infatti, affrontato il caso di un disponente condannato alla pena di anni uno di reclusione per il reato di cui al D.lgs. n. 74 del 2000, art. 11, ossia per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. L’imputato, insieme alla moglie, aveva costituito un trust trasferendovi le unità immobiliari, ciascuno per la propria quota di proprietà. I beneficiari del trust erano i disponenti stessi ed in via successiva la loro figlia.

Prima della costituzione del trust, però, esisteva in capo all’imputato un debito nei confronti del fisco per quasi 150.000 euro tra IVA, interessi e sanzioni.

Per difendersi, l’imputato ha sostenuto che il suo è uno sham trust caratterizzato da nullità, inefficacia ed inopponibilità a terzi. Ciò in ragione del fatto che settlors e trustees coincidono (l’imputato e la di lui moglie) e sono anche i primi beneficiari del trust.

In realtà già la Corte di appello di Milano aveva rigettato la tesi difensiva relativa alla nullità del trust cd. autodichiarato o “shame trust”, di per sè, per la sola coincidenza tra disponente e trust, con una pluralità di argomenti.

Innanzitutto, non ogni trust autodichiarato è automaticamente inesistente o nullo, come invece sostiene la difesa; ciò perché:

  • le leggi straniere che disciplinano il trust ammettono il trust autodichiarato;
  • nell’ordinamento italiano esistono una pluralità di fattispecie di vincoli auto-istituiti ed anche nella prassi vi sono applicazioni di tale schema (come gli escrow accounts, cioè i depositi di somme in garanzia che un professionista riceve per conto dei suoi clienti).

La nullità del trust non deriva dalla coincidenza tra disponente e trustee (“trustee non significa necessariamente “terzo” e ben potrebbe coincidere con il disponente”) ma dall’analisi complessiva delle clausole dell’atto, dalla verifica in concreto dei poteri che il disponente si riserva ed attribuisce al trustee, sia che queste figure s’identifichino sia che si tratti di soggetti diversi.

Inoltre, il processo civile di esecuzione da parte di Equitalia non avrebbe potuto prescindere da una previa declaratoria giudiziale di accertamento della nullità o inesistenza del trust e l’iscrizione di ipoteca sui beni conferiti in trust si sarebbe scontrata comunque con l’effetto segregativo interposto dal trust stesso. L’azione di riscossione di Equitalia sarebbe stata comunque impedita.

Il discredito gettato sul povero trust autodichiarato, in questo caso, è stato inutile.

Infatti, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza, il delitto è un reato di pericolo concreto; in ossequio al principio di offensività, si deve valutare l’idoneità “ex ante” dell’atto a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale del debito erariale. La diminuzione della garanzia può essere anche solo parziale, non necessariamente totale (Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, dep. 2016, Arosio, Rv. 266134), purché effettivamente in grado di mettere a rischio l’esazione del credito.

 

Fonte: Fiscalfocus