Il corretto computo delle rimanenze finali di magazzino, nonché la valorizzazione delle stesse, rappresenta un passaggio delicato e fondamentale nella predisposizione dei bilanci di esercizio, che richiede primariamente che sia effettuata la conta dei beni fisicamente presenti a magazzino. Il passaggio successivo consiste nella valorizzazione delle rimanenze stesse.
Il criterio generale è disposto, civilisticamente, dall’articolo 2426 del Codice Civile, che recita:
1) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto di produzione. Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi; ….
9) le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione;
10) il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: “primo entrato, primo uscito o: “ultimo entrato, primo uscito; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa;
Quindi, primariamente, per le materie prime, sussidiarie, di consumo e merci, la valutazione dovrà essere effettuata al costo (al netto di resi, abbuoni, premi e tenendo conto degli oneri accessori di diretta imputazione, quali, ad esempio, le spese di trasporto), e confrontata con il valore di realizzazione desumibile dal mercato, utilizzando il minore tra due valori così ottenuti. Questo criterio di valutazione, ai sensi dell’articolo 2426 CC nr. 9, dovrà essere utilizzato per i beni non fungibili.
Per i beni fungibili, ovvero per quei beni intercambiabili, per i quali le rimanenze non sono riportabili ad una specifica operazione di acquisto, e che sono peraltro soggetti ad una frequente rotazione, si dovrà fare riferimento all’articolo 2426 CC nr. 10.
Per tali tipologie le rimanenze finali sono previsti criteri convenzionali, che assumono rilevanza anche ai fini fiscali:
· Il FIFO (first in first out, ovvero primo entrato prima uscito). Utilizzando questo metodo di valutazione si suppone che ad essere venduti per primi siano stati i beni acquistati per primi. Di conseguenza la valorizzazione del magazzino sarà effettuata in base ai costi di acquisto più recenti.
· Il LIFO (last in first out, ovvero ultimo entrato prima uscito) che parte dal presupposto che siano rimasti in magazzino gli acquisti più remoti. Le rimanenze saranno pertanto valutate in base ai costi di acquisto più remoti.
· Il COSTO MEDIO PONDERATO che parte dall’assunto che i beni a magazzino non siano riconducibili ad uno specifico periodo di ingresso od uscita. Per quanto sopra i beni vengono considerati tutti ugualmente disponibili, e valorizzati al costo medio di acquisto.
Le rimanenze dovranno essere catalogate nelle categorie previste dal Codice Civile, ovvero:
· Materie Prime,
· Materie sussidiarie e di consumo,
· Merci.
Il criterio di valutazione utilizzato preferibilmente dovrà essere univoco, ma potrà anche essere diverso tra una categoria e l’altra, fermo restando che, una volta individuato, il criterio prescelto dovrà essere mantenuto nel tempo. Laddove si decidesse di modificare il criterio di valutazione da un esercizio all’altro sarà necessario evidenziare la circostanza nella nota integrativa, esponendo anche gli effetti sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’azienda.
Sotto l’aspetto fiscale valgono le disposizioni dell’articolo 92 del TUIR, che non prevede, a differenza del Codice Civile, la distinzione tra beni fungibili ed infungibili. A norma del TUIR, infatti, la valutazione delle rimanenze può essere effettuata valutando ogni singolo bene al suo costo specifico, oppure per categorie omogenee (per natura e valore) di beni, attribuendo un valore che non può essere inferiore a quello che si ottiene applicando il metodo LIFO a scatti annuale.
Sono comunque riconosciuti ai fini fiscali i criteri civilistici del costo medio ponderato e del LIFO e FIFO continui, come sopra descritti. L’articolo 92 comma 4 del TUIR comma 4 recita infatti: “Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del “primo entrato, primo uscito” o con varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato”.
In sostanza i metodi di valutazione previsti dal Codice Civile sono riconosciuti anche ai fini tributari, e solo laddove si decidesse di utilizzare metodi diversi occorrerà aver cura di verificare che il valore ottenuto sia maggiore o uguale a quello che si otterrebbe con il LIFO a scatti annuale. Dovendo ricorrere il caso del mancato rispetto di tale limite occorrerà allineare ai fini fiscali il valore delle rimanenze, operando una rettifica in aumento nella dichiarazione dei redditi.
Sempre ai fini tributari si rende necessaria ancora una verifica. L’articolo 92 comma 5 prevede infatti che se in esercizio il valore unitario medio dei beni determinato in base ai metodi previsti risulta essere superiore al valore normale medio degli stessi nell’ultimo mese dell’esercizio, “il valore minimo di cui al comma 1, è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale”. Per valore normale, ai sensi dell’articolo 9 del TUIR, si intende “il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”.
Fonte: Fiscalfocus